"Una sentenza storica, “una svolta epocale”, in quanto "non era mai successo che per una vicenda di morti sul lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale. Credo che da oggi in poi i lavoratori possano contare molto di più sulla sicurezza e che le imprese possano essere invogliate a fare molto di più per la sicurezza". Queste le parole a caldo del pubblico ministero Raffaele Guariniello, al tribunale di Torino, dopo che è stata emessa la sentenza seguita al rogo della Thyssenkrupp di Torino, che ha provocato sette morti tra gli operai dell’acciaieria che lavoravano alla linea 5 la notte del 6 dicembre 2007.
Sintetizziamo brevemente la sentenza emessa venerdì sera scorso dalla seconda Corte d’assise del tribunale torinese.
Intanto Herald Espenhahn, amministratore delegato per l'Italia della multinazionale, è stato condannato a 16 anni e mezzo di reclusione come era stato richiesto dalla pubblica accusa.
Inoltre la Corte ha accolto le richieste dell'accusa anche per gli imputati. I consiglieri delegati Marco Pucci e Gerald Priegnitz, il direttore dello stabilimento torinese Giuseppe Salerno e il responsabile del servizio prevenzione rischi Cosimo Cafueri sono stati condannati a 13 anni e mezzo di reclusione.
Mentre per Daniele Moroni, dirigente con competenze nella pianificazione degli investimenti in materia di sicurezza antincendio, la pena comminata è stata di 10 anni e 10 mesi, anche superiore ai nove anni richiesti dall'accusa.
Non solo. La società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Spa, per l’applicazione di quanto previsto dal Decreto legislativo 231/2001 sulla responsabilità amministrativa, è stata condannata al pagamento della sanzione di 1 milione di euro, nonché all'esclusione da contributi e sovvenzioni pubbliche per sei mesi, al divieto di pubblicizzare i prodotti sempre per sei mesi, alla confisca di 800mila euro, con la pubblicazione della sentenza sui quotidiani nazionali.
Riguardo alla responsabilità amministrativa è sempre Raffaele Guariniello a ricordarci che “è la prima volta che una ditta viene condannata, e a sanzioni così forti", che sommate ai risarcimenti alle parti civili, ai familiari delle vittime e alle spese legali porta il conto dell'acciaieria a superare i 20 milioni di euro. Un conto che mostra come il risparmio di 800 mila euro – e sarebbe bastato anche un impianto di rilevazione fumi a evitare la tragedia - è costato molto di più, oltre alla perdita di sette vite umane.
La sentenza, che arriva dopo quasi 3 anni e mezzo e 94 udienze, era attesa.
Le indagini seguite al gravissimo incidente avevano portato al rinvio a giudizio per i sei principali indagati, con un’accusa pesante per l’amministratore delegato: omicidio e incendio con dolo eventuale (quando la possibilità che l‘evento si verifichi come conseguenza della propria azione è accettato coscientemente). Ed era la prima volta che un’imputazione di questo tipo viene formulata in Italia.
Ma la sentenza era attesa ma non scontata. In fondo proprio durante gli ultimi atti di questo processo, l’avvocato dell’amministratore tedesco cercava di convincere che l’ipotesi dolosa non aveva “trovato riscontro in questo processo". Che “non esisteva nessun obbligo di installazione di impianti di rilevazione e spegnimento incendi sul quel tratto della linea 5”.
Ma con i 42 minuti di sentenza, letti dopo le 21 di venerdì 15 aprile, il tribunale ha dimostrato di accogliere pienamente l’ipotesi - per le morti sul lavoro dei lavoratori della ThyssenKrupp di Torino - di “omicidio volontario con dolo eventuale”.
Questo significa che il manager Herald Espenhahn era ben consapevole dei rischi che correvano i lavoratori nello stabilimento torinese. E che aveva comunque deciso di correrlo, con la rinuncia ad investire in misure di prevenzione antincendio le somme messe a disposizione pochi mesi prima, conservandole nella prospettiva di smantellare a breve la fabbrica. Il tutto sintetizzato da una delle frasi dei pm durante la lunga requisitoria: “l’imputato ha fatto prevalere l’interesse economico sul fattore umano”.
La sentenza, come riportano tutti i media, è stata accolta dagli applausi e dai pianti dei familiari delle vittime dello stabilimento torinese, e da una marea di dichiarazioni positive. Dichiarazioni che fanno ben sperare che con questo atto che farà giurisprudenza si cominci a camminare tutti, senza differenze di colore politico o di ruoli all’interno dei luoghi di lavoro, verso una stessa direzione: quella della prevenzione e della tutela.
In questo senso va la dichiarazione del Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi: "La sentenza ha accolto il solido impianto accusatorio e costituisce un rilevante precedente”. E dimostra – continua il ministro – “che l' assetto sanzionatorio disponibile è adeguato anche nel caso delle violazioni più gravi".
Con la sentenza sono stati riconosciuti diversi risarcimenti alle parti civili. Ad esempio gli indennizzi sono andati alla Regione Piemonte (973 mila euro), alla Provincia di Torino (500 mila) e al Comune (un milione, con la possibilità di fare una causa civile supplementare). Ma anche ai sindacati Fim, Fiom, Uilm, Flm-Cub, all'associazione Medicina Democratica e alle decine dei colleghi delle vittime che lavoravano nello stabilimento torinese.
Inoltre la Corte d'Assise ha accolto la richiesta dei pm di trasmettere alla Procura gli atti relativi alla posizione di 4 testimoni ascoltati nel corso delle udienze.
Nei confronti di Arturo Ferrucci, Leonardo Lisi e Franke Kruse si ipotizza la falsa testimonianza, mentre per l'ingegner Berardino Queto, consulente ThyssenKrupp, si deve verificare la responsabilità di concorso nei reati di omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) e di omissione di cautele antinfortunistiche.
Infatti era lui l’autore del documento di valutazione dei rischi, documento con "vistose lacune" rilevate dai magistrati in questi anni di indagini accurate. Una valutazione dei rischi che sembrava "confezionata ad arte per arrivare a determinare un rischio di incendio medio su quasi tutti gli impianti per creare preventivamente una giustificazione per la mancata adozione degli impianti automatici di rilevazione e spegnimento incendi che avrebbero potuto salvare la vita ai 7 operai".
Insomma un processo e una sentenza che hanno messo il dito nella piaga di molti problemi che fanno argine ai tentativi normativi e culturali di far mettere la sicurezza ai primi posti dei pensieri di un dirigente aziendale.
Una sentenza che mostra come non solo sia più difficile rimanere impuniti in situazioni macroscopiche di mancanza di prevenzione, ma che rende per tutti – per i dirigenti aziendali come per tutti coloro che si occupano di sicurezza – più “conveniente” seguire la normativa che aggirarla o, peggio, sottovalutarla.
Certo in Italia ci sono migliaia di situazioni microscopiche che non riceveranno i riflettori mediatici o l’attenzione di una procura che non ha le forze per occuparsi anche dei singoli incidenti o delle singole carenze. Ma la sentenza ha aperto una strada, ha indicato una direzione che si deve percorrere: non distogliere gli occhi dai “ comportamenti errati” che coinvolgono i singoli, ma vagliare anche le scelte, le politiche aziendali che coinvolgono tutti e che non dovrebbero mai mettere in secondo piano la prevenzione e la tutela della sicurezza e salute dei lavoratori."
[Tiziano Menduto - PuntoSicuro]
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